Nella nostra visita di Sarajevo una delle attrazioni che ci ha permesso di conoscere maggiormente la storia dell’assedio della città è stata la visita al Museo Tunnel della Speranza.
Durante l’assedio serbo alla città di Sarajevo, che durò 44 mesi, tutta la popolazione si trovò nell’impossibilità di ricevere aiuti dall’esterno e/o poter uscire dalla stessa. I serbi costantemente accerchiarono Sarajevo, occuparono tutte le colline intorno alla città. Da qui i cecchini sparavano sulla popolazione, frequenti i bombardamenti su musei, ospedali, biblioteche. Persino i riti funebri dovevano esser svolti di notte in quanto sottoposti al tiro dei cecchini serbi.
Ovviamente questa morsa di ferro non solo stremò di fame la popolazione civile, che arrivò anche a cibarsi dell’erba dei parchi, i serbi tagliarono anche l’acqua potabile, il riscaldamento e la possibilità di far pervenire medicine. Per potersi riscaldare, durante i rigidi inverni che seguirono l’assedio, gli abitanti bruciarono per riscaldarsi il mobilio e persino le scarpe, tutto ciò che poteva produrre calore venne utilizzato. Non ultimo questo assedio asfissiante rese anche difficile il rifornimento di armi e munizioni per potersi difendere.
L’unico punto di tregua era l’aeroporto, in mano all’Onu.
Un uomo, il sig. Bajro Koral, mise a disposizione la propria casa per poter iniziare a costruire il tunnel che avrebbe dovuto collegare, passando sotto la pista dell’aeroporto, la Sarajevo assediata e stremata con il resto del paese, dove invece la situazione era più tranquilla e si poteva trovare di tutto: cibo, medicine, armi.
Nel gennaio del 1993 ebbe inizio la costruzione del tunnel: 800 metri di lunghezza, 1.60 metri di altezza e 80 cm. di larghezza. I turni per la costruzione erano di 8 ore al giorno ininterrottamente per 24 ore, nel giro di 6 mesi il tunnel venne ultimato. Si scavava a mano con picconi, pale e attrezzi reperibili in loco, i “minatori” venivano pagati con 1 pacchetto di sigarette al giorno, merce in quella circostanza storica importantissima, oggetto di qualsiasi scambio.
Quando nel 1994 i serbi vennero a conoscenza di un possibile tunnel che collegava Sarajevo al resto del mondo iniziarono ad intensificare i bombardamenti nella zona, ma non riuscirono mai ad individuare l’entrata del tunnel.
All’inizio tutto veniva portato a mano, in seguito vennero posti dei binari sui quali far scorrere piccoli carrelli spinti a mano, venne installata una linea telefonica e portata la corrente.
Questo è un piccolo riassunto di quello che scoprirete relativo al tunnel grazie alla visita del museo Tunnel della Speranza.
Il Tunnel della Speranza si trova a Sarajevo in Tuneli 1, per orari e costi vi lasciamo al Sito ufficiale.
All’interno del museo, oltre che alla possibilità di poter percorrere circa 25 metri del tunnel, si trovano diverse aule didattiche che riproducono video della guerra e della costruzione del tunnel, si può vedere in quali condizioni i volontari lavoravano, i primi passaggi da ambo le parti ecc…
All’esterno è poi presente una mostra fotografica con immagini del periodo bellico e cosa molto commovente sono riprodotte le fotografie di molti volontari che si adoperarono per la realizzazione del tunnel.
Nella parte esterna del sito è poi possibile vedere, poste in un prato, diverse armi belliche utilizzate da serbi per annientare la popolazione: bombe a mano, mine, colpi di mortaio ecc…
La casa utilizzata per la costruzione del tunnel ora è di proprietà statale, resta ben curata ma volutamente lasciata con le sue ferite inflitte dai colpi di mortaio.
Noi abbiamo visitato il tunnel della Speranza insieme alla nostra guida del tour guidato di Sarajevo, che ci ha permesso di raggiungere il luogo in bus privato. Il Tunnel si trova infatti fuori dal centro, proprio attraccato all’aeroporto. Dalla città è raggiungibile in taxi o in bus.
Fa effetto pensare che son passati solo 25 anni da quell’eccidio, io all’epoca ero un ragazzino spensierato e inconsapevole che a pochi km da me la gente morisse. L’opinione pubblica, la stampa e anche l’Onu credo, personalmente, abbiamo molto da rimproverarsi per questa carneficina rimasta nel silenzio e da molti ignorata.
Nella nostra visita a Sarajevo abbiamo deciso di saltare altri musei, emotivamente più forti, sulla guerra avendo due bimbi di 6 e 8 anni. Questo museo, seppur racconti una cruda guerra portando ad un momento di importante riflessione su quel periodo, non mostra immagini così violente da impressionare e spaventare eccessivamente i bambini.
Se state organizzando un viaggio in Bosnia vi consigliamo di leggere il nostro articolo su Sarajevo in un giorno.
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Paolo